LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE prima sezione penale Composta dagli ill.mi sigg.ri Magistrati: dott. Enrico Giuseppe Sandrini, rel. Presidente; dott. Luigi Fabrizio Mancuso, consigliere; dott. Aldo Esposito, consigliere; dott. Gaetano Di Giuro, consigliere; dott. Raffaello Magi, consigliere; Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da M L F nato il 1° aprile 1978, avverso il decreto n. 56/2015 Tribunale di Agrigento del 2 dicembre 2015; Sentita la relazione fatta dal consigliere dott. Enrico Giuseppe Sandrini; Lette le conclusioni del PG dott. Delia Cardia che ha concluso per il rigetto del ricorso; Uditi i difensori avv.; Ritenuto in fatto 1. Con decreto in data 2 dicembre 2015 il Tribunale di Agrigento, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha dichiarato inammissibile l'incidente di esecuzione promosso da M L F , in qualita' di titolare della ditta omonima, avente per oggetto la richiesta di accertamento della buona fede nella contrattazione e nella stipula della vendita di due autocarri, avvenuta il 29 settembre 2009, e nell'insorgenza del conseguente diritto di credito corrispondente al prezzo del veicoli, nei confronti della s.n.c. di C G & F , oggetto di decreti di sequestro emessi il 16 dicembre 2009 e di decreti di confisca emessi il 17 maggio 2011 nell'ambito del procedimenti di prevenzione ex lege n. 575 del 1965 a carico di C F e C G , che avevano riguardato le quote del capitate sociale e il complesso del beni aziendali della societa' debitrice. Il Tribunale dava atto che la fattispecie era soggetta alla disciplina prevista dall'art. 1, commi 194 e seguenti, della legge n. 228 del 2012, recante disposizioni a tutela dei terzi creditori con riferimento al procedimenti di prevenzione non soggetti al decreto legislativo n. 159 del 2011; ritenuta la tempestivita' della richiesta di accertamento del credito, proposta nei 180 giorni dalla definitivita', in data 10 marzo 2015, dei provvedimenti di confisca, il Tribunale rilevava che il credito non rientrava nella tipologia di quelli di cui la legge prevede e tutela la soddisfazione, che l'art. 1 comma 198 limita ai creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione e ai creditori che, prima della trascrizione del sequestro di prevenzione, abbiano trascritto un pignoramento sui beni o che alla data di entrata in vigore della legge (n. 228 del 2012) fossero (gia') intervenuti nella relativa procedura esecutiva, nonche' - a seguito della sentenza n. 94 del 2015 della Corte costituzionale ai titolari di crediti di lavoro subordinato, categorie nelle quali non rientrava il M . 2. Avverso il suddetto decreto di inammissibilita' ricorre per cassazione M , a mezzo del difensore avv. Salvatore A. Bevilacqua, deducendo due motivi di doglianza. 2.1. Col primo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza ed errata applicazione delle norme che disciplinano la tutela dei terzi creditori in caso di provvedimenti di confisca emessi all'esito di procedimenti di prevenzione per i quali non si applica la discipline dettata dal libro primo del decreto legislativo n. 159 del 2011. Il ricorrente sollecita un'interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata della norma di cui all'art. 1, comma 198, della legge n. 228 del 2012, che tuteli i creditori di buona fede il cui credito sia sorto anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione, anche se chirografari e non pignoranti ne' intervenuti nell'esecuzione, superando un'interpretazione strettamente letterale del testo normativo che finirebbe per negare tutela al Credito sulla base di criteri arbitrari e contingenti, e per ragioni estranee alla ratio della confisca di prevenzione, che quella di recidere i legami tra l'impresa e l'associazione mafiosa mediante la sottrazione al titolare dei beni illecitamente acquistati; un'interpretazione diversa da quella sollecitata si risolverebbe nell'ingiustificata appropriazione da parte dello Stato delle somme costituenti il corrispettivo dei beni confiscati dovute al creditore di buona fede, il quale verrebbe a subire a sua volta l'ablazione del proprio diritto; il ricorrente rileva di aver stipulato la vendita degli autocarri in buona fede, contrattando a prezzi di mercato con un acquirente operante in altra provincia e in una realta' economica distante e diverse dalla propria; deduce di aver agito in qualita' di titolare di una piccola impresa esercente, insieme all'attivita' di compravendita di veicoli usati, anche quella di officina meccanica di riparazione e manutenzione degli stessi con l'ausilio dei propri familiari, qualificabile in virtu' di tali caratteristiche come impresa artigiana, implicante il riconoscimento della natura privilegiata del credito ai sensi dell'art. 2751-bis n. 5 del codice civile, cosi' da non giustificare una disparita' di trattamento rispetto al credito dei lavoratori subordinati dell'impresa confiscata, ricorrendo nei propri riguardi un'analoga situazione di debolezza contrattuale, cosi' da legittimare anche sotto tale profilo un'interpretazione estensiva della norma. Il ricorrente deduce che la natura artigiana dell'impresa confiscata ne esclude la soggezione a fallimento, cosi' da precludere anche tale possibile strumento di tutela del proprio credito, destinato a rimanere insoluto, invocando le medesime ragioni sulla natura ingiustificata del sacrificio imposto al creditore richiamate dalla Consulta nella motivazione della sentenza n. 94 del 2015, che dovevano trovare applicazione anche al caso di specie; censura la mancata applicazione da parte del provvedimento impugnato degli artt. 2-ter, comma 5, e 2-septies della legge n. 575 del 1965, che erano stati interpretati dalla costante giurisprudenza nel senso di ammettere il pagamento dei crediti, privilegiati e chirografari, di buona fede vantati nei confronti di un'azienda confiscata, rilevando che tali norme non erano state abrogate dalla disciplina successiva, con la quale non risultano incompatibili. 2.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce e prospetta l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 198, della legge n. 228 del 2012 nella parte in cui non include tra i creditori da soddisfare nei limiti e con le modalita' ivi indicate anche i titolari di crediti chirografari vantati nei confronti di un'impresa artigiana la cui azienda sia stata sottoposta a confisca, nonche' i titolari di crediti privilegiati ai sensi dell'art. 2751-bis n. 5 del codice civile. Deduce la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, alla stregua delle ragioni spese nel primo motivo di ricorso, e indica i parametri costituzionali violati in quelli di cui agli articoli 1, 3, 4, 24, 27, 35, 41, 42, 47 e 111 della Costituzione, alla Convenzione di Vienna del 1988 (art. 5 comma 8), alla Convenzione di Strasburgo del 1990 (art. 5 comma 7), alla Decisione quadro del Consiglio UE del 2005 (artt. 4 e 5), per il tramite della norma interposta di cui all'art. 117 primo comma Cost., illustrando specificamente le singole censure. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali chiede il rigetto del ricorso; deduce la ragionevolezza della scelta operata dal legislatore con la legge n. 228 del 2012 di estendere alle sole categorie di creditori indicate nell'art. 1 comma 198 il diritto di far accertare il credito al fine del relativo soddisfacimento sul ricavato della liquidazione dei beni sottoposti a confisca di prevenzione nei procedimenti non soggetti alla disciplina generale prevista dal decreto legislativo n. 159 del 2011, e rileva l'assenza dei presupposti per equiparare crediti di lavoro subordinato, ai quali la sentenza n. 94 del 2015 della Corte costituzionale aveva esteso la medesima tutela, ai crediti privilegiati dell'imprenditore artigiano. 4. Con memoria successiva il difensore del ricorrente ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale, ribadendo, con ampie argomentazioni, le ragioni a sostegno di un'interpretazione adeguatrice dell'art. 1 comma 198 legge n. 228 del 2012 e sviluppando ulteriormente le ragioni a supporto della questione di legittimita' costituzionale della norma, sollevata in via subordinata, anche sotto il profilo della irragionevolezza di una soluzione interpretativa che privasse il creditore di ogni forma di tutela anche in assenza di un'inerzia rimproverabile nell'esercizio delle azioni previste dall'ordinamento. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso non puo' trovare accoglimento. 1.1. E' noto che il decreto legislativo n. 159 del 2011 (c.d. codice antimafia) ha innovato profondamente il regime precedente nella materia della tutela dei diritti dei terzi estranei al procedimento di prevenzione titolari di legittime pretese creditorie nei confronti dei soggetti il cui patrimonio - costituente la garanzia (generale e speciale, ex artt. 2740-2741 cod.civ.) dei creditori - sia assoggettato a confisca, in tutto o in parte (con riguardo a singoli beni), nella ricorrenza del presupposti indicati dall'art. 24 comma 1 del medesimo decreto legislativo. In particolare, e' stato introdotto, mediante gli artt. 52 e seguenti del decreto legislativo n. 159 del 2011, un sistema organico di tutela esteso alla generalita' dei creditori, sia privilegiati che chirografari, imperniato su un procedimento incidentale di verifica del credito in contraddittorio e sulla formazione di uno stato passivo, da parte del giudice appositamente delegate, e di un successivo piano di pagamento dei crediti ammessi da realizzare con le disponibilita' ricavate dalla liquidazione dei beni confiscati, disciplinato secondo modalita' e cadenze in larga misura mutuate dagli analoghi istituti della legge fallimentare. Premesso il divieto, stabilito dall'art. 55 (D.Lgs. n. 159 del 2011) a carico di tutti i creditori, di iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni sequestrati (che, se iniziate prima del sequestro di prevenzione, sono destinate a estinguersi nel momento in cui la confisca diviene definitiva), l'art. 52 comma 1 prevede in via generale che il provvedimento di confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultino da atti aventi data certa anteriore al sequestro ne' i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore allo stesso, a condizione che l'escussione del residuo patrimonio (non soggetto a confisca) del proposto risulti incapiente a soddisfare il credito (salvo che questo sia assistito da una causa legittima di prelazione sui beni sequestrati), che il credito non sia strumentale all'attivita' illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego (salvo che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il relativo nesso di strumentalita'), e che, nel caso in cui il titolo - genetico o ricognitivo - del credito abbia natura astratta, creditore provi il rapporto fondamentale (nonche', nel caso del portatore di titolo di credito, anche di quello che ne legittima il possesso). La nuova disciplina di carattere generale ha determinato, con la sua entrata in vigore, l'abrogazione delle precedenti norme settoriali in materia, in particolare di quelle contenute nella legge n. 575 del 1965, di cui l'art. 120 comma 1 lettera b) decreto legislativo n. 159 del 2011 ha disposto espressamente la (integrale) abrogazione; essa si applica - in conformita' al disposto della norma transitoria di cui all'art. 117 comma 1 del medesimo decreto legislativo - ai procedimenti nei quali alla data del 13 ottobre 2011 non fosse gia' stata formulata la proposta di applicazione della misura di prevenzione. 1.2. Nel caso in esame i decreti di sequestro e di applicazione della confisca, che hanno riguardato tutti i beni aziendali della societa' di C G & F , costituenti la garanzia patrimoniale del credito del ricorrente di residui 10.000 euro derivante dalla vendita di due autocarri, sono stati emessi, secondo quanto emerge dal provvedimento impugnato, nelle date rispettive del 16 dicembre 2009 e del 17 maggio 2011, e dunque prima del 13 ottobre 2011, con la conseguenza che la disciplina generale di accertamento, riconoscimento e ammissione al pagamento del credito, di cui agli artt. 52 e seguenti decreto legislativo n. 159 del 2011, non puo' - pacificamente - trovare applicazione. La materia riguardante la tutela dei terzi titolari di diritti di credito o di prelazione aventi la loro garanzia patrimoniale nei beni assoggettati a sequestro e confisca nell'ambito di procedimenti di prevenzione gia' pendenti al momento dell'entrata in vigore del Libro I del decreto legislativo n. 159 del 2011 ha trovato, successivamente, specifica regolazione nell'art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilita' 2013), che ha previsto, a decorrere della sua entrata in vigore (1° gennaio 2013), un analogo divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni confiscati e un regime semplificato di verifica e pagamento dei crediti ammessi a soddisfarsi sul ricavato della relativa liquidazione (la cui applicazione e' demandata, su istanza dell'interessato, al giudice dell'esecuzione) per i quali sussistano le condizioni generali stabilite dall'art. 52 comma 1 decreto legislativo n. 159 del 2011, circoscrivendo tuttavia la possibilita' di tutela al soli creditori indicati nel comma 198, che sono quelli titolari di ipoteca iscritta sui beni confiscati anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione e quelli che, prima della trascrizione del sequestro, abbiano trascritto un pignoramento sul bene o siano intervenuti nell'esecuzione, iniziata in virtu' di tale pignoramento, prima dell'entrata in vigore della legge (n. 228 del 2012). Consegue che tutti i crediti, anche di natura privilegiata, diversi da quell'espressamente contemplati dall'art. 1 comma 198 della legge n. 228 del 2012, nel testo risultante dalla successiva interpolazione operata dalla sentenza n. 94 del 2015 della Corte costituzionale che - con pronuncia additiva - ha esteso la medesima tutela ai titolari di credito del lavoro subordinato (fruenti del privilegio riconosciuto dall'art. 2751-bis n. 1 cod.civ.), sono esclusi dalla legittima possibilita' di essere ammessi a soddisfarsi sul ricavato del beni confiscati; in particolare, per quanto riguarda i crediti diversi da quelli muniti di garanzia ipotecaria opponibile al sequestro di prevenzione, il discrimen della tutela e' stato individuato dal legislatore non tanto nella natura o nella causa del credito, quanto nel dato temporale rappresentato dal suo tempestivo azionamento ad iniziative del creditore mediante l'instaurazione di una procedura esecutiva che fosse gia' pendente e opponibile, dovendo il relativo pignoramento risultare gia' trascritto - al momento della trascrizione del sequestro di prevenzione, ovvero mediante il tempestivo inserimento della pretesa creditoria (nel termine sopra indicato) in detta procedura espropriativa, a prescindere dal rango del credito che puo' anche essere rappresentato da un chirografo. Poiche' il credito del ricorrente non rientra, pacificamente, in una delle categorie appena indicate, previste dal comma 198 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012, correttamente il provvedimento impugnato ha dichiarato inammissibile la relativa domanda di accertamento e ammissione al pagamento sui beni confiscati, pur dando atto della tempestivita' delle domande rispetto al termine di presentazione stabilito della legge, e pur non avendo il giudice dell'esecuzione sollevato questioni sulla ricorrenza degli altri requisiti previsti dall'art. 52 comma 1 decreto legislativo n. 159 del 2011 (in quanto richiamati dall'art. 1 comma 200 della legge di stabilita'), trovando causa il credito del M in un negozio commerciale di vendita risalente al 29 settembre 2009, documentato dalle relative fatture e registrazioni contabili, ed antecedente l'emissione del decreti di sequestro che hanno colpito (il 16.12.2009) tutti i beni aziendali della societa' debitrice. 1.3. La riformulazione complessiva, ad opera del decreto legislativo n. 159 del 2011 e della legge n. 228 del 2012, del sistema normativo che regolamenta nei modi sopra indicati, sia a regime che in via transitoria, la sorte dei crediti vantati nei riguardi dei soggetti i cui beni patrimoniali siano stati assoggettati a confisca di prevenzione, non lascia spazio alla sopravvivenza di norme e prassi previgenti, invocate dal ricorrente e gia' individuate dalla giurisprudenza nel vigore della legge n. 575 del 1965, che possano legittimare altrimenti il soddisfacimento del credito del M sui beni confiscati, sotto il profilo argomentativo, di natura sistematica, che valorizzava la soggezione al provvedimento ablativo dell'intero compendia del beni aziendali del debitore al fine di giustificare la liquidazione del debiti aziendali correnti in quanta ricompresi nei rapporti giuridici, attivi e passivi, inscrivibili nel complesso dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa (secondo la nozione di azienda recepita nell'art. 2555 del codice civile), nei quali l'amministratore giudiziario dei beni sequestrati era destinato a subentrare. La sopravvenienza, in particolare, della specifica disciplina contenuta nella legge di stabilita' 2013 impone dunque di ritenere superato, nella materia in esame, il riferimento alla sopravvivenza delle norme previgenti contenuto nell'art. 117 comma 1 del decreto legislativo n. 159 del 2011 con riguardo ai «vecchi» procedimenti di prevenzione non soggetti alla normativa del codice antimafia. L'indicazione selettiva delle categorie di creditori legittimati a soddisfarsi sul ricavato dei beni confiscati nelle procedure di prevenzione alle quali non si applica il decreto legislativo n. 159 del 2011, contenuta nell'art. 1 comma 198 della legge n. 228 del 2012, deve ritenersi percio' tassativa e insuscettibile di interpretazioni estensive: una sicura conferma della conclusione appena raggiunta e ricavabile, del resto, dalla necessita' del ricorso alla pronuncia additiva di cui alla sentenza n. 94 del 2015 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimita' parziale della norma, per estendere l'area dei crediti tutelati a quelli trovanti causa in un rapporto di lavoro subordinato. Non vi e' spazio, dunque, per un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 1 comma 198 della legge n. 228 del 2012 nel senso - invocato dal ricorrente - di ricomprendere nella tutela i crediti derivanti da forniture commerciali effettuate nell'esercizio di attivita' d'impresa; ne' le argomentazioni sviluppate dalla Consulta a fondamento della natura ingiustificata dell'esclusione dei crediti di lavoro subordinato dal meccanismo di salvaguardia previsto dalla norma citata, che e' stata censurata con riferimento allo specifico parametro costituzionale rappresentato dall'art. 36 Cost., appaiono mutuabili a sostegno di un'analoga soluzione, in via interpretativa, in favore del credito del piccolo imprenditore, anche nell'ipotesi in cui dovesse riconoscersi all'impresa del M natura artigiana, stante la persistente disomogeneita' delle rispettive cause creditorie, che ne giustifica una diversa tutela e che trova puntuale riconoscimento normativo nella previsione di una differente graduazione del rango privilegiato del credito nella sistematica del codice civile (art. 2751-bis, n.ri 1 e 5, cod. civ.). Il motivo di doglianza e pertanto, alla stregua della normative vigente, infondato. 2. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 comma 198 della legge n. 228 del 2012, prospettata della difesa del M nel secondo motivo di ricorso, e ulteriormente illustrate nella memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale, e invece rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento ai parametri rappresentati dagli articoli 3 e 41 della Costituzione, per le ragioni che seguono e che rivestono natura assorbente di ogni altro - dedotto - profilo di censurabilita' della norma. 2.1. La rilevanza della questione, nel presente giudizio di legittimita', discende de plano dalle ragioni, sopra esposte, che ostano a un'interpretazione adeguatrice della norma contenuta nella legge di stabilita' tale da consentire di estendere alla generalita' dei crediti, destinati a trovare la loro garanzia patrimoniale nei beni confiscati al debitore nell'ambito del procedimenti di prevenzione ai quali non si applica - ratione temporis - la disciplina del decreto legislativo n. 159 del 2011, il regime di riconoscimento e tutela accordato alle sole categorie di creditori individuate dall'art. 1 comma 198, nonostante il credito del ricorrente appaia possedere, per il resto, i requisiti previsti dall'art. 52 decreto legislativo n. 159 del 2011 (che non sono stati messi in discussione dal giudice dell'esecuzione nel provvedimento impugnato) richiamati dall'art. 1 comma 200 della legge n. 228 del 2012. E' invero, evidente che il testo attuale della norma, censurato di (sospetta) incostituzionalita', impone di ritenere corretto il provvedimento del giudice dell'esecuzione e di rigettare conseguentemente il ricorso per cassazione del M , che sarebbe suscettibile invece di accoglimento, mediante pronuncia rescindente di annullamento con rinvio al giudice di merito perche' proceda agli adempimenti previsti dall'art. 1 comma 200 della legge, nel caso di pronuncia adeguatrice della Consulta che riconoscesse la fondatezza della questione proposta. In particolare, con riferimento al requisito, la cui sussistenza deve essere verificata ai sensi dell'art. 52 comma 1 lettera a) decreto legislativo n. 159 del 2011, dell'insufficienza del rimanente patrimonio, non confiscato, dei soggetti sottoposti alla misura di prevenzione reale a garantire la soddisfazione del credito del ricorrente (ove ritenuto di rango chirografario, come appare nel caso di specie, trattandosi di credito derivante da un'ordinaria operazione commerciale di vendita), deve osservarsi che la natura artigiana dell'impresa del debitore, con conseguente sottrazione della stessa - in via di principio - alla dichiarazione di fallimento (artt. 2221 cod. civ. e 1 legge fall.), rende impraticabile, nel caso di specie, la residua forma di tutela rappresentata dalla possibilita' del creditore, inibito a soddisfarsi sul complesso del beni aziendali assoggettati a confisca, di chiedere il fallimento dell'imprenditore/debitore divenuto insolvente e di insinuarsi nel passivo della conseguente procedura concorsuale, secondo una facolta' che non e' preclusa dalla coesistenza della procedura di prevenzione patrimoniale, ne della natura «mafiosa» dell'impresa (della quale ricorrano i presupposti generali di fallibilita'), cosi' come riconosciuto con orientamento consolidato dalla giurisprudenza, anche di questa Corte Suprema, che ha trovato definitiva conferma nel disposto degli articoli 63 e segg. decreto legislativo n. 159 del 2011. Sotto tale profilo, deve ritenersi percio' superato, nel caso in esame, l'argomento speso nella precedente pronuncia di questa Corte (Sez. 6 n. 49821 del 17 ottobre 2013, Rv. 258579) che ha ritenuto manifestamente infondata la questione, analogamente prospettata, di legittimita' costituzionale della disciplina prevista dall'art. 1 comma 198 della legge n. 228 del 2012, nella parte in cui non ammette a soddisfarsi sul ricavato del beni confiscati il creditore chirografario che non abbia tempestivamente radicato l'azione esecutiva (trascrivendo il pignoramento prima del sequestro di prevenzione), sul presupposto della possibilita' riconosciuta al creditore medesimo di chiedere il fallimento del debitore e di insinuare il proprio credito nel passivo dell'impresa fallita il cui patrimonio aziendale sia stato interamente confiscato. 2.2. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, e' opportuno muovere nuovamente dal precedente appena citato di questa Corte (Sez. 6 n. 49821 del 2013) per verificare - anche ponendone a confronto le affermazioni coi contenuti della pronuncia sopravvenuta della Consulta n. 94 del 2015, che ha esteso il regime di tutela ai titolari di crediti da lavoro subordinato - la persistente tenuta logico-giuridica delle ulteriori argomentazioni che erano state spese a supporto della ritenuta legittimita' della disciplina in esame. Il dubbio di irragionevolezza, e di incoerenza rispetto ai principi di rango costituzionale e sovranazionale in materia, della differente tutela accordata alle diverse categorie di creditori dello stesso soggetto sottoposto a misura di prevenzione patrimoniale - ancorata a criteri che prescindono della natura e dalla causa intrinseca del credito per privilegiare l'esistenza di un vincolo, opponibile, di interrelazione reale col bene soggetto a confisca, la cui insorgenza e rimessa all'iniziativa (e alla forza contrattuale) del singolo creditore, munitosi di garanzia reale sul cespite o tempestivamente attivatosi in executivis mediante la trascrizione di un pignoramento sul bene o l'intervento nella relativa procedura espropriativa - era stato allora superato da questa Corte ritenendo razionalmente giustificata una disciplina intesa a garantire la preminenza dell'interesse collettivo, di rilievo pubblicistico, a privare il soggetto socialmente pericoloso dei beni patrimoniali che costituiscono il prodotto o comunque l'espressione della sua pericolosita', senza sacrificare nel contempo le ragioni di quei creditori che vantino una relazione diretta (assistita da un sostanziale diritto di seguito) col bene oggetto del provvedimento ablativo, limitando l'effetto recessivo e soccombente, destinato a prodursi nei confronti della restante massa dei creditori portatori di un interesse di rango (meramente) privatistico a soddisfarsi sull'intero patrimonio del debitore, ai titolari di quelle posizioni creditorie, per quanto di buona fede, che risultino prive di uno specifico e diretto collegamento col bene confiscato, fruenti della sola garanzia patrimoniale generica, di natura tanto chirografaria quanto privilegiata, che trova titolo indifferenziato nella previsione dell'art. 2740 cod. civ.. Un rilievo preminente, agli effetti di respingere il dubbio di costituzionalita' della normativa in oggetto, era stato percio' attribuito dalla citata decisione di legittimita' alla inerzia del creditore, che non si fosse tempestivamente attivato per la tutela e la soddisfazione del proprio credito (anche chirografario) mediante la creazione di un vincolo diretto e riconoscibile sul bene suscettibile di confisca, opponibile alla procedura di prevenzione, cosi' da ricondurre - in definitiva - a una condotta, in qualche misura rimproverabile, dell'interessato il conseguente deficit di tutela. 2.3. La validita' generale della giustificazione rappresentata dalla preminenza dell'interesse pubblico ad assicurare l'effettivita' della misura di prevenzione patrimoniale e il raggiungimento della sua finalita' di privare il destinatario dei risultati economici dell'attivita' illecita, e' stata messa in crisi dalla decisione (sopravvenuta) della Corte costituzionale di cui alla citata sentenza n. 94 del 2015, che ha evidenziato come il bilanciamento delle contrapposte esigenze, realizzato dalla disciplina intertemporale dettata dalla legge di stabilita' 2013 a scapito dell'interesse del creditore del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione a non vedere vanificata la garanzia patrimoniale sulla quale aveva confidato nel concedere il credito ovvero (come nel caso del credito di lavoro subordinato) nell'effettuare la propria prestazione, si risolva in realta' in un sacrificio puro e semplice delle ragioni e delle aspettative del creditore di buona fede, che produce il suo massimo effetto nel caso (come e' quello oggetto del presente giudizio) di confisca «totalizzante», che colpisca l'intero patrimonio del debitore costituente la garanzia del ceto creditorio, privato cosi' di ogni prospettiva di soddisfazione tanto nei riguardi del proposto (divenuto d'imperio insolvente e, nel caso di specie, neppure suscettibile di essere dichiarato fallito), quanto nei riguardi dello Stato, beneficiario della devoluzione a titolo originario dei beni confiscati. Il sacrificio totale e indifferenziato delle ragione della massa creditoria, con la sola eccezione dei creditori premunitisi di uno specifico diritto di seguito sui singoli beni del debitore nelle forme tutelate dall'art. 1 comma 198 legge n. 228 del 2012, e' destinato a rivelarsi tanto piu' incongruo - nel solco della citata pronuncia della Consulta - alla stregua dell'attuale assetto normativo, in quanto si inserisce in un sistema che, a differenza del passato, prevede ora a regime, per i procedimenti di prevenzione radicati dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 159 del 2011, un meccanismo generale di salvaguardia, esteso (come si e' visto) a tutti i crediti suscettibili di essere pregiudicate dal provvedimento di confisca e di cui sia accertata, nei modi stabiliti dall'art. 52 decreto legislativo n. 159 del 2011, l'opponibilita' al beneficiario - lo Stato - del provvedimento ablativo della garanzia patrimoniale, in assenza di interessenze illecite col debitore. La permanente compatibilita', dopo la sopravvenienza della sentenza additiva n. 94 del 2015, della deroga significativa al regime ordinano - previsto dal decreto legislativo n. 159 del 2011 - dettata dalla norma di diritto intertemporale contenuta nella legge di stabilita' 2013, deputata a regolare, fino all'esaurimento del loro effetti, le (sole) procedure di prevenzione patrimoniale la cui proposta di applicazione ricade nel regime antecedente la novella, deve dunque essere vagliata alla stregua del canone fondamentale della ragionevolezza, cui deve necessariamente ispirarsi il sacrificio imposto ai titolari delle posizioni creditorie di buona fede che abbiano acquisito una legittima aspettativa a soddisfarsi sul patrimonio del debitore, confiscato per motivi estranei alla causa del credito: ragionevolezza alla quale, in quanto espressione del principio di eguaglianza, deve uniformarsi l'esercizio dell'attivita' legislativa. In caso contrario, la radicale preclusione normativa, fuori dai casi tassativamente indicati, di ogni azione a tutela della soddisfazione di un credito legittimamente insorto e' destinata a risultare priva di giustificazione razionale, cosi' da determinare un'obiettiva questione di compatibilita' del disposto attuale dell'art. 1 comma 198 legge n. 228 del 2012 con l'art. 3 Cost.; il dubbio sulla tenuta costituzionale della relativa disciplina e accentuato, altresi', dall'evoluzione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di interpretazione della norma contenuta nell'art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che in alcune sue recente decisioni (riguardanti, in particolare, i noti casi Mottola contro Italia e Staibano contro Italia del 2014) ha esteso la nozione di bene protetto della persona fisica o giuridica, tutelato dalla norma sovranazionale, ai «valori patrimoniali» muniti di una base giuridica consolidata, ritenuti comprensivi delle legittime aspettative alle prestazioni patrimoniali in cui si sostanziano i diritti di credito nascente dalla libera contrattazione tra privati, che non possono percio' essere ingiustificatamente sacrificati nell'ordinamento interno senza apprestare gli opportuni mezzi (anche processuali) di tutela, la cui assenza potrebbe risultare censurabile a sua volta a titolo di violazione dei principi affermati dall'art. 6 della Convenzione europea. 2.4. Il fondamentale elemento di irragionevolezza ravvisabile nella previsione normativa di cui all'art. 1 comma 198 legge n. 228 del 2012 (sul quale ha particolarmente insistito il ricorrente nella memoria di replica), che legittima la proposizione della questione di legittimita' costituzionale sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost., e' costituito dall'esclusione di ogni forma di tutela per i creditori che, come l'odierno ricorrente, non abbiano avuto a disposizione, in relazione al momento di insorgenza del credito, il tempo e la possibilita' materiale di munirsi del titolo preferenziale - individuato dalla norma - rappresentato dalla precostituzione del diritto di seguito sul bene del debitore suscettibile di confisca, mediante la tempestiva trascrizione di un atto di pignoramento: rispetto al mancato esercizio, in tali forme, dell'azione esecutiva non e configurabile, invero, alcuna inerzia ascrivibile a una scelta comportamentale del creditore, nei termini che sono stati valorizzati dal precedente di cui alla citata sentenza n. 49821 del 2013 di questa Corte (Sez. 6), con la conseguenza che la disparita' di trattamento che si realizza, sotto tale profilo, rispetto alla situazione del creditore, di pari grado chirografario o privilegiato, che abbia avuto la possibilita' temporale di munirsi del titolo pignoratizio appare effettivamente priva di qualunque giustificazione. La vendita degli autocarri da cui ha tratto origine il credito del ricorrente e documentata da fatture commerciali emesse poco di due mesi prima del decreti di sequestro del beni (successivamente) confiscati; essa si e' dunque perfezionata nell'immediata prossimita' della sopravvenienza del vincolo reale che ha privato il creditore della possibilita' di soddisfarsi, agendo in executivis, sui beni del debitore costituenti la garanzia patrimoniale; si tratta di un lasso temporale talmente ristretto da risultare oggettivamente incompatibile coi tempi processuali minimi ragionevolmente necessari a consentire al creditore di munirsi (anche in ipotesi di ricorso alle forme semplificate della procedura monitoria e alla correlata abbreviazione dei termini previsti dal codice di procedura civile per la richiesta, l'emissione e la notificazione di un decreto ingiuntivo) di un titolo giudiziale munito di efficacia esecutiva, idoneo a legittimare - previa intimazione dell'atto di precetto nell'osservanza del termini di legge - la notificazione e la trascrizione di un atto di pignoramento in data anteriore al sequestro di prevenzione. I caratteri di specialita' e di intertemporalita' che contraddistinguono la discipline contenuta nell'art. 1 comma 198 della legge n. 228 del 2012, rispetto al regime ordinario di tutela assicurato a tutti i creditori del proposto dal decreto legislativo n. 159 del 2011, non appaiono percio' idonei a giustificare, in questo caso, il sacrificio completo delle regioni del creditore che sia privo in nuce - senza che cio' risulti in qualche modo a lui imputabile - della possibilita' di munirsi tempestivamente del titolo (pignoratizio) che realizza la condizione prevista della lex specialis per consentirgli di essere ammesso a soddisfarsi sui beni del debitore suscettibili di confisca; la radicale assenza di una possibilita' di tutela, rispetto alla situazione del creditore di pari rango che abbia avuto a disposizione il tempo materiale di cautelarsi nelle forme stabilite della legge, produce dunque un vulnus che appare privo di giustificazione razionale, non riconducibile all'esplicazione di legittima discrezionalita' legislative, tale da risolversi cosi' in un'irragionevole disparita' di trattamento censurabile sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost. nella misura in cui la norma impugnata individua il discrimen della tutela del credito in un elemento del tutto accidentale come quello appena indicato. 2.5. La qualita' imprenditoriale del ricorrente e la causa commerciale del credito vantato legittimano la proposizione del dubbio di legittimita' costituzionale della norma anche alla stregua dell'art. 41, primo comma, Cost., sotto il profilo della violazione del principio della liberta' di iniziativa economica, che appare ingiustificatamente pregiudicata - nei termini di irragionevolezza appena precisati - della completa vanificazione della garanzia patrimoniale sui beni del debitore (soggetti al provvedimento ablativo) che costituiscono oggetto dell'aspettativa di soddisfazione delle legittime pretese creditorie sorte nell'esercizio dell'attivita' d'impresa, in cui confida l'imprenditore e che rappresentano garanzia di effettivita' del libero esplicarsi dell'attivita' stessa. I naturali caratteri di continuativita' e rotativita' che connotano, ordinariamente, i rapporti di fornitura commerciale tra imprese, tipicamente basati su un atteggiamento di affidamento reciproco, individuano, del resto, nelle situazioni creditorie conseguentemente originatesi il terreno d'elezione in cui e' destinato a manifestarsi il dato rappresentato dall'esposizione dell'imprenditore, creditore del corrispettivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi da lui effettuate, a un piu' accentuato rischio di perdita - ingiustificata - della relativa garanzia patrimoniale per effetto della sopravvenienza di provvedimenti di confisca, in ragione della mancata predisposizione di cautele preventive di tipo giudiziale/esecutivo che costituisce il normale portato della specificita' del rapporto intercorrente col debitore.